La Mostra

Come ha scritto Achille Bonito Oliva – “l’arte finalmente ritorna ai suoi motivi interni, alle ragioni costitutive del suo operare, al suo luogo per eccellenza che è il labirinto inteso come ‘lavoro dentro’, come scavo continuo dentro la sostanza della pittura”.

E’ un tempo che cancella le grandi narrazioni universali, riscoprendo le radici culturali e popolari, il bisogno di liberazione da astratte ideologie di potere, l’attenzione ai fenomeni laterali e inattesi.

 

La mostra di Palazzo Reale è un’opportunità per cogliere le peculiarità e le assonanze dei protagonisti di un movimento del tutto italiano e oramai storicizzato: un quintetto di artisti, Sandro Chia, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Nicola De Maria e Mimmo Paladino, accomunati dal bisogno di un ritorno alla manualità, alla gioia ed ai colori della pittura dopo anni di dominazione dell'arte concettuale, autonomi nella ricerca artistica e negli esiti conseguiti.

 

Un evento importante, inserito tra le manifestazioni patrocinate dalla Presidenza della Repubblica e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, che è anche un tassello, il primo, di un progetto culturale più ampio, che da novembre 2011 si protrarrà fino all’estate del 2012, inglobando cinque personali dedicate ai cinque protagonisti della Transavanguardia da importanti istituzioni culturali italiane (dall’ex Foro Boario di Modena al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, al MARCA di Catanzaro, lex GIL di Roma e il Palazzo Sant’Elia di Palermo) e cinque giornate di studio alle quali prenderanno parte filosofi, critici d’arte, curatori e direttori di museo.

 

Una mostra ouverture quindi, che è anche un momento di sintesi, per affrontare con spirito critico e senza i clamori dell’attualità i nodi di un passato recente della cultura artistica italiana, in cui erano tornati a emergere, quali tratti significativi della produzione artistica, il disegno, il colore, la tecnica, inattuali nel clima diffuso del mercato artistico dei primi anni ‘80, dominati dalla ricerca poverista e concettuale, dalla Body Art, dalla Land Art, dal Minimalismo, etc.

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Le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia sono un’occasione importante. Non solo per ripercorrere gli eventi e le idee, che portarono nel 1861 alla nascita della Nazione italiana e all’emergenza di un’identità collettiva nuova. Ma anche per riflettere sull’oggi di questa identità, che nella seconda metà degli anni 70 si è confrontata con una crisi generale del sistema e della civiltà occidentale, che ha messo in discussione l’ottimismo produttivo dell’economia e l’ottimismo sperimentale delle neo-avanguardie con la loro idea di un’evoluzione lineare della Storia e della storia dell’arte. Da qui la rivalutazione del concetto di citazione (che implica la memoria) rispetto a quello di invenzione; la ripresa della manualità della pittura, il recupero delle tradizioni accanto alle Avanguardie d’inizio 900 e del tema dell’identità, in un momento in cui la globalizzazione economica prima e mediatica poi si avvia a ridefinire il quadro delle egemonie culturali e, all’opposto, si sviluppa un movimento glocal, che coniugando localismo e globalismo valorizza, invece, artisti operanti con un linguaggio al tempo stesso originale e internazionale sul problema dell'identità dell’uomo.

Questa situazione, tutt’ora in essere, la Transavanguardia italiana ha non solo anticipato, ma ne è originale interprete ed espressione, facendosi portavoce di una soggettività dolce, priva di un punto di vista unitario.

All’utopia internazionalista del modernismo ha opposto il genius loci del singolo artista, ossia il territorio antropologico del suo immaginario; alla coazione al nuovo l’esercizio disinvolto di un nomadismo culturale e di un eclettismo stilistico, che si nutre di memoria del passato e suggestioni da un presente complesso e multiforme, contribuendo al più generale processo di rielaborazione della Storia e della soggettività contemporanea, avviato negli anni ottanta dal pensiero post-moderno e oggi giunto a una nuova fase di sviluppo gravida di novità, tutte ancora da indagare.

 

L’area culturale in cui opera la ricerca degli anni 80 è quella della transavanguardia, che considera il linguaggio come uno strumento di transizione, di passaggio da un’opera all’altra, da uno stile all’altro. Le neo-avanguardie del secondo dopoguerra si sviluppano secondo un’idea evoluzionistica darwiniana, trovando i loro antenati nelle avanguardie d’inizio 900 e in una visione lineare della storia come progresso e superamento dei conflitti e delle differenze. La transavanguardia invece opera fuori da queste coordinate obbligate, seguendo un atteggiamento nomade, un’attenzione policentrica e disseminata, che non si pone più in termini di contrapposizione frontale ma di attraversamento incessante di ogni contraddizione e di ogni luogo comune, anche quello di originalità tecnica ed operativa. In tal senso la transavanguardia è un’area indefinita che accomuna gli artisti non per tendenze e affinità linguistiche, bensì per atteggiamento e filosofia dell’arte. E la comprensione che il tessuto della cultura cresce non solo verso l’alto ma si sviluppa anche verso il basso, attraverso l’autonomia di radici antropologiche che tendono comunque tutte ad affermare la biologia dell’arte.

In una epoca come la nostra di coesistenza delle differenze, dove il tema dell’identità ha sviluppato un dibattito internazionale e un movimento glocal, sconvolgendo il precedente centralismo di Europa e America, la transavanguardia si pone come l’unica avanguardia possibile, perché con il suo nomadismo culturale ed eclettismo stilistico ha sfidato la globalizzazione del linguaggio (perseguito con eroica generosità ed ottimismo dalle neo-avanguardie fino agli anni Ottanta), preparando la partecipazione dell’artista a un fenomeno di meticciato culturale senza precedenti.

Achille Bonito Oliva

 

A cura di
Achille Bonito Oliva
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22 aprile